TAROCCHI

IL CARRO

Settima carta dei tarocchi, trionfale e pomposa come un politico in campagna elettorale, e in questo caso parliamo della versione di Oswald Wirth, quell'occultista svizzero che riuscì nell'impresa titanica di rendere i tarocchi ancora più misteriosi di quanto già non fossero. Il Carro, nella sua maestà ingessata, ci guarda dritto in faccia e dice: "Io comando". E noi, poveri osservatori con la pizza fredda in mano e un bicchiere mezzo vuoto di vino economico, possiamo solo rispondere: "Ok, boss".

Nel mazzo di Wirth, questa carta è una parata d'ego. Al centro della scena c'è il condottiero, il vincitore, il figlio preferito dell'universo, piantato su un carro che non si sa bene se si muova mai. Ha l'aria di chi ha appena vinto tutto senza sporcare il mantello, e indossa un'armatura talmente lucida che riflette anche i peccati dell'osservatore. Il tipo ha due sfingi ai suoi piedi, una nera e una bianca, come se avesse appena rubato gli animali domestici a un faraone indeciso. Non sono attaccate a nulla. Sì, hai capito bene. Nessuna briglia, nessun giogo, solo là, ferme, come in sciopero. Ma il carro va comunque, ci assicurano. A forza di volontà, dicono. Sì, certo, come l'ascensore dell'anima nei giorni di depressione.

Lo sfondo è piatto, irreale, un cielo giallo che sa più di febbre che di gloria, e delle colonne o torri buttate lì come scenografia di un film porno spirituale. Tutto è simbolo, tutto è significato, eppure tutto sembra dire: "Ehi, guarda quanto sono importante!" 

Il nostro eroe impugna un bastone con in cima un globo, simbolo di dominio spirituale, ma sembra più uno scettro da cosplay medievale. La sua corazza ha decorazioni zodiacali, per ricordarci che l'universo lo ama, che i pianeti sono allineati per lui e solo per lui. Per noi, invece, Mercurio è retrogrado e la carta di credito pure. Ma attenzione, perché questa carta è una trappola: promette trionfo, ma a volte è solo un monumento all'ego vestito da illuminazione.

Il Carro, in fondo, è il simbolo di chi vince perché ha deciso che deve vincere, non perché ha capito qualcosa. È il CEO del mazzo, il guru su TikTok, il motivatore che ti urla di alzarti alle 5 del mattino mentre lui è in diretta da Bali. Ma sotto quell'armatura dorata, sotto lo sguardo impassibile, c'è una verità che puzza di incenso stantio: il controllo è un'illusione. E il Carro, per quanto fiero e trionfante, non sa dove sta andando.

VIZI E WIRTHÙ

Se cerchi Cupido, cambia canale. Qui siamo nel mondo dell'amore raccontato dal Carro, e l'amore visto dal Carro è una corsa a tutta velocità verso l'ignoto con i freni rotti e l'ego alla guida.

Immaginate questa scena: un giovane guerriero in armatura dorata, fiero come uno che ha appena letto L'arte della guerra e pensa di aver capito tutto. Sta in piedi sul suo carro, tirato da due sfingi — una nera, l'altra bianca. Già qui, Freud sta ridendo nella tomba. Non cavalli, no. Sfingi. Animali mitologici, enigmatici, che non si muoveranno finché non risolvi il loro indovinello interiore. E questa è già la prima lezione amorosa del Carro: puoi correre quanto vuoi, ma se non capisci te stesso, resti impantanato nei tuoi stessi drammi.

Il conducente del Carro non tiene le redini. Aspetta che tutto si allinei, come uno che dice: "Tranquilla, amore, andrà tutto bene" e poi lascia il lavoro, ti chiede di trasferirti in una comune e apre un negozio di cristalli. Il Carro è il trionfo della volontà, certo, ma anche l'illusione arrogante che tutto si possa dominare col solo potere del proprio ego ipertrofico. Nell'amore, questo si traduce nel classico: "Io so cosa voglio" detto mentre si ignora totalmente ciò che vuole l'altra persona. Bravo, bello mio. Vai dritto, schiantati pure.

C'è anche la simbologia fallica, mica possiamo far finta di niente. Il carro stesso, rigido, slanciato, spinto da forze duali e misteriose, è l'erezione dell'ego romantico mascherata da spiritualità. Una parata di sicurezza che spesso cela una tremenda paura di essere vulnerabili. Tipo quelli che ti dicono "Sono un toro, sono passionale" e poi spariscono appena tiri fuori la parola relazione.

E poi guardiamolo, il condottiero: impettito, con una corona, non sporco, non sudato, come se andasse in guerra indossando lo smoking. Questo è il tipo che ti porta fuori la prima sera parlando solo di sé, dei suoi progetti, dei suoi traumi "che ha superato", mentre tu ti chiedi se riesce ad ascoltare almeno il suo respiro. Il Carro è il narcisismo spiritualizzato, il trionfo del Sé che si convince di amare, ma ama solo se stesso riflesso negli occhi di qualcun altro.

Il Carro non ascolta. Ha una direzione, o almeno crede di averla. Anche se non sa dove va. Ma, ehi, finché si muove, qualcosa starà pur succedendo, no? La sindrome del viaggiatore sentimentale: meglio mille relazioni che affrontarne una davvero.

Insomma, se peschi il Carro in una stesa d'amore, preparati. Potrebbe significare che sei in controllo della situazione. O che sei talmente dentro la tua stessa bolla di autodeterminazione da non accorgerti che stai trascinando un partner legato al paraurti posteriore. Perché l'amore, dice il Carro, è movimento. Ma dimentica di dirti che la vera sfida non è andare avanti. È fermarsi, guardare negli occhi l'altro e dire: "Ok, scendiamo entrambi da questo dannato carro e camminiamo insieme".

Ma figurati se ti dice quello. Lui è già partito.