TAROCCHI

L'IMPERATORE

Se prendi in mano l'Imperatore dei tarocchi di Oswald Wirth, stai praticamente stringendo la mano a un archetipo con deliri di grandezza. E non parliamo di un vecchio con la corona che gioca a Risiko, no: questo è il simbolo vivente del potere istituzionale, del "faccio perché posso", della mascolinità in giacca e ferro, con lo scettro a forma di croce che grida: "Dio mi ha dato il permesso di comandarti, quindi stai zitta".

L'Imperatore siede su un trono, mica una sedia dell'IKEA. Il trono è decorato con teste d'ariete, non per caso: l'ariete è Marte, il guerriero, la guerra. È l'aggressività incanalata nel linguaggio dell'ordine. Se lo vedi bene, ha le gambe incrociate a formare un quattro, perché ovviamente tutto in lui è geometria solida, stabilità fatta carne, la struttura che non vacilla anche se gli casca il cielo in testa. Ma non c'è solo rigidezza: quel quattro è anche una trappola geometrica, l'illusione che l'ordine basti a contenere il caos. Spoiler: non basta mai.

Indossa una corazza sotto i vestiti regali, come a dire che il potere non si fida nemmeno dei vestiti. Lui è pronto alla battaglia, sempre. È la versione medioevale di uno che dorme con il fucile sotto il cuscino. L'Imperatore non delega, controlla. Non dialoga, decide. È il patriarca che si è convinto che la sua opinione sia legge divina. E il bello? Nessuno osa dirgli di no. Gli metti un microfono e ti fa un monologo su quanto è bravo a costruire imperi. Ma nessuno lo interrompe, perché ha quella faccia lì: la faccia di chi ha già fatto sparire gente solo con lo sguardo.

Dietro di lui c'è il paesaggio arido, tipo che nemmeno un cactus vuole vivere lì. Eppure è lì che lui regna: nel deserto. È il simbolo di autorità sterile, quella che domina ma non nutre. Questo non è un re agricoltore, è un imperatore delle pietre. Ti costruisce un castello, ma se hai fame, beh, mangiati il mattone.

Tiene in mano l'Ankh, il simbolo egizio della vita. Ironico, no? Un uomo di pietra che stringe il segno della vita. Come se volesse ricordarti che anche la legge, per quanto rigida, è lì per proteggere la vitalità. Ma sotto sotto, lo sappiamo: l'Imperatore non ama la vita, ama il controllo sulla vita. È il padre che ti dice: "Sì, puoi fare ciò che vuoi... finché lo dico io".

Wirth, quel vecchio alchimista con la barba da profeta, ci ha messo dentro tutto questo. Non ha disegnato un uomo, ha disegnato l'idea del potere, vestita a festa per far finta di essere nobile. Ma dietro la corona, dietro lo sguardo fisso e glaciale, c'è l'eco di una voce che ripete: "Io sono la legge". E io ti dico: "Ogni volta che senti uno dire "Io sono la legge", comincia a correre. Non verso, ma lontano".

VIZI E WIRTHÙ

L'Imperatore nei tarocchi di Oswald Wirth, in amore, è come quel tipo che ti porta fuori a cena, ti parla di Nietzsche, ti fa pagare metà conto e poi ti chiede di chiamarlo "Padrone". È l'archetipo dell'autorità che si è dimenticata di essere umana, un tizio seduto su un trono che guarda l'amore come una proprietà, non come una danza. Se Cupido tirasse le sue frecce all'Imperatore, questo chiamerebbe l'avvocato per violazione di domicilio.

Guardi la carta e subito vedi quel trono di pietra, più rigido della morale di un predicatore mormone, decorato con teste di ariete, simboli di Marte, cioè il pianeta del testosterone fuori controllo. Non dell'amore, attenzione: della conquista. Sì, perché per lui l'amore non è un fluido che scorre tra due anime, ma un terreno da occupare, un dominio da erigere a colpi di volontà e regole. L'Imperatore non ama, governa. E se ama, lo fa con la mano destra sullo scettro e la sinistra sul contratto prematrimoniale.

Quel suo scettro a forma di croce ansata, l'ankh egiziano, che dovrebbe rappresentare la vita, nelle sue mani sembra una clava d'oro. È come se dicesse: "Ti amo, ma solo se firmi qui e accetti le clausole". Le clausole dell'Imperatore in amore sono tipo: fedeltà assoluta, zero drammi emotivi, rapporti sessuali calendarizzati. Vuole stabilità, ma la stabilità secondo lui è una prigione dove le sbarre sono fatte di cemento ideologico.

E parliamo della sua armatura sotto il mantello rosso. Sì, è vestito da guerra sotto il velluto. Questo non è uno che si spoglia delle sue difese davanti all'amore. Questo è uno che protegge il cuore come se fosse un segreto di Stato. Il mantello rosso? Passione, sì, ma passione disciplinata, incanalata, messa in riga come un plotone. Non aspettarti che ti scriva poesie o ti guardi negli occhi sussurrando dolcezze. Lui ti guarda come se dovesse decidere se approvare il tuo bilancio emotivo.

Oswald Wirth, con tutta la sua mistica esoterica svizzera, ci mette dentro un tocco da alchimista, ma non riesce a togliere quell'aria da patriarca fascistoide alla carta. L'Imperatore, nell'amore, è un campo minato con l'erba rasata e i cartelli ben piantati: "Attenzione: emozioni sotto controllo". È il tipo che ti costruisce una vita perfetta sulla carta, ma poi dimentica che dentro ci sei tu, con i tuoi sbalzi d'umore, le tue notti in lacrime, le tue risate isteriche alle due del mattino.

Il numero quattro, inciso sulla carta, dovrebbe indicare stabilità, ma in amore si trasforma in una gabbia geometrica. Tutto deve essere simmetrico, ordinato, prevedibile. Ma chi diavolo ama davvero così? L'amore non è un quadrato, è un fulmine in una bottiglia. L'Imperatore quel fulmine lo metterebbe sotto vetro e lo esporrebbe in salotto come trofeo.

E allora, cosa fare se l'Imperatore compare in una lettura amorosa? Dipende. Se ti stai innamorando di qualcuno che ha la stabilità emotiva di una diga di cemento armato, forse ti serve. Se invece stai cercando vulnerabilità, connessione profonda, o almeno un briciolo di spontaneità, allora l'Imperatore è l'avvertimento cosmico che ti dice: "Attenta, qui l'amore è sotto regime. Sorridi, na solo se hai l'autorizzazione".

Insomma, nell'amore, l'Imperatore non bacia: concede udienza. E se ti dice "Ti amo", controlla bene che non sia un decreto imperiale.