TAROCCHI

IL MATTO

Lo scemo del villaggio o l'unico che ha capito tutto? Tutti pensano che il Matto sia il tipo che si è perso il cervello per strada, quello che cammina con un cane attaccato al sedere e una piuma in testa come se fosse reduce da un festival hippie andato male. Ma no, amico mio. Quello non è un pazzo. Quello è uno che ha guardato in faccia il mondo e ha detto: "Sai che c'è? Non mi serve il vostro copione".

Wirth ce lo disegna così: un tipo stravagante, vestito come se fosse uscito da un carnevale rinascimentale, con una specie di bastone fallico in mano e un fagotto sulle spalle che sicuramente contiene tutto tranne che buone intenzioni. E poi c'è il cane. O meglio: quel coso che gli morde il didietro. Simbolo dell'istinto, della realtà che ti ricorda di non essere troppo libero, perché la libertà totale puzza di anarchia, e l'anarchia fa paura anche a chi ce l'ha tatuata sul braccio.

Il Matto cammina, guarda in alto, ma mica per cercare Dio. No. Guarda in alto perché sotto non vuole vedere: la strada, la merda, gli ostacoli. E mentre tu cerchi di capire dove stai andando nella vita, lui ci va – senza sapere dove, senza voler sapere. E forse è proprio questo il punto: la libertà dell'ignoranza consapevole.

Wirth non gli dà nemmeno un numero. Il Matto è al di fuori della sequenza, come il tizio al bar che non ha ordinato niente ma parla con tutti. Zero o ventidue? Dentro o fuori? Chi lo sa. E chi se ne frega. Perché il Matto non è un numero, è un interruttore. Lo accendi e spegni tutto il sistema.

E guarda i colori. Quei rossi e gialli e verdi, roba che neanche un cartone psichedelico degli anni '70. Ogni sfumatura urla: "Guardatemi! Non sono come voi!" 

Quindi, la prossima volta che peschi il Matto, non pensare di aver pescato la carta del disastro. Hai appena incontrato l'unico, vero outsider del mazzo. Uno che non vuole vincere, perché ha capito che giocare è molto più interessante.

VIZI E WIRTHÙ

Se l'amore fosse un gioco, il Matto sarebbe quello che perde il manuale d'istruzioni e poi ride mentre si masturba (alla fine, cosa c'è di male nel dare il meglio di se stesso a se stesso?)

Nel mazzo di Oswald Wirth il Matto non ha numero. Zero? No, peggio: fuori scala. È come se l'universo dicesse: "Questo qui non segue le regole, le mastica e poi le risputa sotto forma di poesia storta".

Guarda la carta. Un uomo dal passo incerto, una gamba in avanti come se stesse per cadere o per volare. Porta con sé un fagotto, come chi è partito senza sapere dove andare, e alle sue spalle, un animale – un cane, o forse un gatto, o ina lince incazzata – che lo strattona, lo avverte, o cerca semplicemente di farlo rinsavire. Ma lui no. Lui guarda altrove, lo sguardo perso in un orizzonte che esiste solo nella sua testa. È l'archetipo di chi ama senza cintura di sicurezza, di chi dice "ti amo" prima ancora di sapere il nome dell'altro.

In amore, il Matto è quello che manda messaggi alle tre di notte, convinto che ogni emozione sia un segno del destino. È quello che si butta a capofitto, che si innamora di una voce, di una camminata, di un profilo Spotify. È poetico, sì, ma anche altamente radioattivo. La sua energia non è gestibile. Non lo inviti a cena con i genitori, perché finirà a parlare di reincarnazione e trip psichedelici dopo il primo bicchiere.

Ma non è tutto da buttare, oh no. C'è una magia in questa follia. Il Matto ti insegna che l'amore, quello vero, nasce dal salto nel vuoto. Che non esiste manuale, non c'è strategia. Solo quel momento in cui guardi qualcuno e pensi: "Sì, sei tu la mia prossima catastrofe emotiva. Andiamo". Il Matto ti ricorda che innamorarsi è, prima di tutto, un atto di fede. O di sconsideratezza. O entrambe le cose in un cocktail letale ma irresistibile.

Il Matto è anche un alchimista. Non nel senso di trasmutare il piombo in oro, ma di trasformare una chat Tinder in una dichiarazione d'amore che sembra uscita da un film francese degli anni Sessanta. È il mago dell'illusione sentimentale, l'artista del "stavamo così bene i primi tre giorni".

Quindi, se peschi il Matto in una lettura d'amore, non aspettarti stabilità. Aspettati fuochi d'artificio, incomprensioni poetiche, notti epiche e mattine piene di "che cazzo è successo?". Ma aspettati anche autenticità, la roba grezza, vera, che ti fa tremare le gambe e ti fa scrivere poesie su un tovagliolo del bar.

Il Matto ama come si vive nei sogni: senza regole, senza rete, e col cuore in fiamme. E magari sbaglia tutto. Ma lo fa col sorriso di chi, almeno per un attimo, ha creduto che l'amore fosse la cosa più sensata in un mondo del tutto insensato.