
TAROCCHI
IL MATTO

Ah, eccolo lì, il Matto del Rider-Waite-Smith: in bilico sul ciglio del mondo, con lo sguardo rivolto al cielo e la testa non esattamente inchiodata alla realtà. Ma non farti ingannare dal suo nome: non è un idiota, è un iniziato mascherato, un viandante sacro travestito da hippy un po' suonato. È lo zero, il nulla che precede tutto. E come ogni vero inizio, non ha forma né meta, ma una carica esplosiva di potenziale puro.
Guarda la sua posa: è pronto a fare un passo nel vuoto, allegro come chi ha dimenticato cosa significhi preoccuparsi. Questo non è incosciente ottimismo: è una sfida mistica al concetto stesso di controllo. Lui sa che per entrare nel sentiero dell'Iniziazione, devi prima perdere ogni mappa, ogni certezza, ogni zavorra intellettuale. La sua fiducia cieca è lo strumento segreto con cui sblocca il cammino.
La rosa bianca che tiene in mano? Non è solo purezza: è il fiore del desiderio non contaminato dalla brama. Non cerca, non chiede, non pretende. E quel sacco leggero sulla spalla è il contenitore degli Archetipi, un baule metafisico di esperienze pre-concettuali, raccolte prima ancora che l'esperienza abbia un nome. Lo porta con sé senza sapere cosa contiene, perché la conoscenza vera non è nei contenuti, ma nel cammino.
E lì accanto, fedele come solo l'intuito può essere, c'è il cane. Non è un compagno qualsiasi: è il guardiano liminale, l'animale totem che ti avvisa quando stai per oltrepassare una soglia. Abbaia, sì, ma non per avvertire del pericolo, piuttosto per onorare il momento. Ti dice: "Stai per varcare la porta. Sei pronto a diventare qualcosa che ancora non puoi nemmeno immaginare".
Il sole splende alto, troppo alto per essere solo decorazione. È il simbolo dello Spirito Superiore, della guida nascosta che osserva, che benedice il viandante senza intervenire. E il dirupo? Oh, quello non è una minaccia, è un simbolo. È l'abisso dell'ignoto che ogni anima deve attraversare per liberarsi dalla prigione del senso comune. Non c'è paura, non c'è esitazione, solo la danza iniziale della follia sacra.
Questa carta non è un avvertimento, è un invito. L'invito a mollare tutto: sicurezze, ruoli, illusioni di sapere chi siamo. Perché solo il Matto, col suo passo incerto e la sua incrollabile leggerezza, ha il privilegio di attraversare tutti gli altri Arcani senza essere mai davvero toccato. È inizio e fine, alfa e omega. Non lo capisci con la testa. Lo segui, oppure no. E se lo segui, non torni più indietro uguale.

Il Matto è quel tipo che si arrampica sul tetto di un palazzo di sei piani, guarda il traffico sotto, apre un ombrello da cocktail e urla: "L'amore fa volare!". È il tipo che pensa che la gravità sia un'opinione. Ma aspettate, ecco il colpo di scena — quando ci innamoriamo, siamo tutti quel tipo. Sì, tutti. Ci buttiamo a capofitto, ridendo, gridando, convinti di volare. Perché l'amore è questo casino meraviglioso, è il sogno lucido più assurdo che possiamo fare da svegli. E il paradosso è che, a volte — solo a volte, mica sempre, non illudiamoci — scopriamo di avere le ali.